Autore: Luigi Prestinenza Puglisi
pubblicato il 31 Dicembre 2017
nella categoria Storia
Learning from Beaubourg (premessa) Ecco nella foto i tre vincitori del concorso per il Centro Pompidou: Renzo Piano, Richard Rogers e Gianfranco Franchini. Di Gianfranco Franchini si perdono presto le tracce: del resto già in questo articolo del 1971 non se ne parla (anche se compare nella foto e nella relativa didascalia). In una altra pubblicazione - devo averla da qualche parte, credo sia Ad'A-se ne parla come dell'architetto incaricato degli interni, in un altro testo figura come capoprogetto. Più tempo passa, più nelle pubblicazioni questa figura sparisce, si dissolve. Nella recente monografia di Francesco Dal Co in un centinaio di pagine se ne accenna in uno o due punti e solo di sfuggita per citarlo come uno dei tre vincitori del concorso. Insomma: un giallo in piena regola. Che impegnerà gli storici del prossimo futuro. Visto però che è il quarantesimo anniversario del Centro, di cui Franchini fu coprogettista, mi fa piacere ricordarlo per un minuto. P.S. se siete buoni osservatori, fate caso in questa foto al linguaggio del corpo. Nel 2005 fui invitato a Supercrit #3, un incontro in cui si parlava del Centro Pompidou in presenza dei progettisti. Durante l'evento, fu proiettata una presentazione in power point che avevo preparato per una lecture del giorno precedente. Il tema della presentazione verteva sulla domanda: chi era Gianfranco Franchini? E ne parlavo come di un mistero. Piano non partecipò all'incontro, era presente Rogers. Non immaginavo minimamente che Franchini potesse esserci in carne ed ossa (vedi foto in basso, con la camicia azzurra e la giacca verde). Dopo l'evento, in un pub, ci siamo messi a parlare a lungo. Mi raccontò che da studente divideva a Milano la stanza con Piano e che a un certo punto aveva preferito, dopo il concorso vinto, lasciar costituire a Piano e Rogers la società e da loro farsi assumere. Che da assunto ebbe un ruolo importante lo testimonia anche questo articolo (un altro fatto strano: non firmato, almeno cosi' sembra) che usci' dopo la sua morte sul The Times. Learning from Beaubourg (1) Potrete anche non crederci ma per fare un concorso serio servono un ex nazista americano (Philip Johnson), un comunista brasiliano (Oscar Niemeyer) e un ingegnere fallito francese (Jean Prouvè). Johnson aveva avuto simpatie per Hitler e passato anche qualche guaio per i suoi trascorsi, Niemeyer ha sempre professato i suoi ideali egualitari e realizzato la sede del partito comunista francese a Parigi, Prouvè era andato in bancarotta con la sua leggendaria officina. Eppure la formula al concorso per il Centro Pompidou ha funzionato benissimo. E potrebbe essere esportata. Due devono essere stranieri ed estranei ai giochi e tutti e tre dei geni, meglio se di parrocchie ideologiche diverse. D'altra parte Johnson amava Mies, Niemeyer Le Corbusier, e Prouvè faceva caso a se. Solo in questo modo la giuria poteva scegliere l'opera più innovativa. Ma nel 1971 il progetto di Franchini, Piano e Rogers, con il supporto di Arup, era innovativo? Learning from Beaubourg (2) Pochi hanno notato che il Centro Pompidou ha fatto a meno di tutti gli accorgimenti più importanti che lo avrebbero reso un museo innovativo: già in fase di progetto se ne sono andati i piani mobili, poi lo schermo in facciata, poi i tramezzi mobili sostituiti da tamponature in cartongesso tradizionali, poi l'accesso gratuito alla scala mobile per vedere il panorama di Parigi all'ultimo piano, infine il rapporto di continuità tra la piazza scoperta e quella coperta oggi reso impossibile da lunghe file per passare negli stretti varchi attrezzati con metal detector. Nonostante questo, l'immagine del centro, dopo 40 anni, è ancora accattivante e innovativa. L'edificio dice, anche senza esserlo particolarmente rispetto ad altri musei: io sono una fabbrica dell'arte, flessibile e moderna. Ecco una lezione che bisogna imparare. Non sempre è bene che quello che si comunica attraverso le forme corrisponda alla realtà effettiva. Il potere dell'immagine è molto più forte di quello della funzione. Learning from Beaubourg (3) Chi crede che il successo di un edificio sia dato solo dalla sua forma è un ingenuo. Se il Beaubourg fosse stato costruito a Palermo in zona Zen oggi probabilmente sarebbe un ammasso di ferraglie. E si parlerebbe di Piano e di Rogers come di due soggetti pericolosi socialmente. Learning from Beaubourg (4) Gran parte del successo del Centro Pompidou è dovuto al fatto che la macchina museale funziona perfettamente da 40 anni grazie ai cospicui finanziamenti dello Stato, che permettono una magnifica collezione permanente e un vertiginoso alternarsi di grandi mostre. Il Pompidou è infatti l'ammiraglia di una flotta che la Francia ha messo in campo per contrastare il predominio USA nell'arte contemporanea. Il modo per riprendersi un primato che aveva ai primi del novecento e gli era stato sottratto negli anni 50. E per contrastare il MoMA di New York, con la sua immagine modernista, occorreva un centro con una immagine futurista: navale e pop. E cosi' è nato il Beaubourg: il felice frutto del matrimonio tra le apirazioni dei tecnocrati sciovinisti di Georges Pompidou e quelle libertarie dei capelloni di buona famiglia del 68. Ecco perchè a Manfredo Tafuri, che capiva poco di architettura, ma molto di ideologia, questo centro non andava proprio giù. Learning from Beaubourg (5) Sebbene continuiamo a reputare Piano e Rogers come i due progettisti del Beaubourg (dimenticando Gianfranco Franchini), l'edificio è anche e, forse, soprattutto il capolavoro di un ingegnere: Peter Rice. Nelle sue memorie, Peter Rice, che, con un team di lavoro della Arup guidato da Happold, collabora all'ingegnerizzazione dell'edificio, ci racconta la sua invenzione. Trasformare una banale struttura metallica reticolare in un meccano con pezzi scultorei che si montano a secco. In questo modo l'edificio diventa un oggetto plastico, acquisendo la bellezza delle costruzioni in ghisa (per capire la differenza, provate a comparare i progetti di Piano realizzati prima con il Beaubourg). Per ottenere il risultato, Rice -che è un genio, purtroppo morto prematuramente nel 1992- reinventa il sistema strutturale e concepisce le gerberette, mensole a sbalzo che alleggeriscono le grandi travi reticolari, sostengono la scala mobile in facciata e caratterizzano figurativamente l'edificio. D'ora in poi non ci sarà progetto di Piano e Rogers in cui non ci sia lo zampino di Rice. E, in genere, non ci sarà grande progetto di architettura in cui non sia presente una società di ingegneria come la Arup. Learning from Beaubourg (6) Insieme alla scomparsa dalle cronache di Gianfranco Franchini c'è quella di Su Brumwell, la moglie di Richard Rogers, dalla quale Rogers divorziò prima dell'aggiudicazione del concorso (1970). Tuttavia nella pagina di Wikipedia di Su, probabilmente da lei ispirata o comunque approvata, risulta che:"In 1971 Su and Richard Rogers joined forces with Italian architect Renzo Piano in a new partnership, Piano + Rogers." E, difatti, Su compare in diverse foto ufficiali del gruppo di progettazione del centro Pompidou, con Piano, Rogers, Franchini, Rice, Happold (1971). Se non stava come moglie di Rogers (nel 1971 erano, appunto, divorziati), stava come progettista. Il suo, oggi, viene passato come un ruolo marginale: infatti, l'avete mai sentita nominare? Ma lo è stato veramente, considerando che lei è nel 1963 partner attiva del Team 4 con Richard Rogers, Norman Foster e Wendy Cheesman e coautrice di diverse opere con il marito, dopo lo scioglimento del Team 4 (1967)? O è l'ennesima storia di una progettista donna dimenticata da una storia importante?