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Spazio, tempo e architettura? La costruzione di un mito

Spazio, tempo e architettura? La costruzione di un mito

Autore: Luigi Prestinenza Puglisi
pubblicato il 19 Novembre 2014
nella categoria Questioni di teoria

L'equivoco di Giedion L'altro giorno, grazie alla domanda che una giovane architetto mi ha posto a una conferenza, ho messo finalmente a fuoco cosa mi infastidisce di Giedion dal punto di vista teorico. La sua tesi principale, come è noto, è che spazio e tempo nella nuova architettura siano collegati . E per avallarla, mostra da un lato un dipinto cubista e dall'altro una immagine dell'edificio del Bauhaus. Attraverso la trasparenza delle vetrate del Bauhaus, sostiene Giedion, noi possiamo capire i vari strati dell'edificio: avere, per cosi' dire una prospettiva quadridimensionale, esattamente come nel quadro cubista.     Ma contrariamente alle intenzioni di Giedion, cosi' noi non abbiamo introdotto nell'architettura la dimensione temporale ma la abbiamo annientata.- La dimensione temporale la si introduce solo se abbiamo visioni multiple dello spazio, più punti di vista. Se abbandoniamo l'osservazione onnisciente di Dio, che con uno sguardo afferra tutto ( cioè la strategia della visione fatta propria dalla architettura classica) , e introduciamo la pluralità delle impressioni e delle conoscenze degli uomini, il plurimo rapporto tra il corpo, i corpi e lo spazio.- Insomma: l'idea di Giedion è profondamente autoritaria. E difatti, del Movimento Moderno, lui ama coloro che si avvicinavano a un nuovo classicismo, sia pure rinnovato rispetto a quello decotto delle accademie di Belle Arti di fine Ottocento. E riprende fuori tempo massimo, a trenta anni di distanza ( il libro è pubblicato nel 1941), il cubismo e non certo le altre avanguardie: espressionismo, futurismo e dadaismo.- Giedion è il cantore della certezza; il Novecento, il grande Novecento, è, invece, il secolo della crisi.   è interessante, infine, notare che Giedion, dovendo esemplificare la sua visione spazio temporale dell'architettura, prende l'opera meno indicata: il Bauhaus di Gropius. Ciò può essere giustificato con il debito di riconoscenza che lo storico aveva nei confronti dell'architetto che lo aveva chiamato a Harvard ( oggi parleremmo di marchetta). Ma anche con un'astuzia del critico per rendere plausibile la propria teoria: se avesse preso ad esempio un'opera di Le Corbusier, sarebbe venuto fuori il nesso purismo/cubismo e la teoria dello spazio tempo del Movimento Moderno, intesa come applicazione della prospettiva quadridimensionale, avrebbe perso in universalità. Il Bauhaus oltretutto ha l'aura, rispetto alle opere di Le Corbusier, di rappresentare la scuola del futuro: un racconto perfetto e eroico che pone Gropius ( e Mies che di quella scuola fu anch'egli direttore) al centro della scena. Una astuta quanto artefatta operazione di propaganda e di immagine, costruita a tavolino.- Sarà Colin Rowe, con un saggio celebre sulla trasparenza di Le Corbusier a cercare di riprendere il discorso di Giedion e dargli consistenza. Possiamo anticipare che tutto ciò però porterà all'intellettualismo formalista di Eisenman: insomma, di male in peggio.