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Il peso della materia

Il peso della materia

Autore: Luigi Prestinenza Puglisi
pubblicato il 1 Aprile 2014
nella categoria L'opinione di lpp

Credo che oggi due diverse concezioni dell'architettura si fronteggiano. La prima tesa alla smaterializzazione dei corpi, alla ricerca della trasparenza e dei cosiddetti flussi. La seconda, più grave, fatta di corpo, sostanza, materia, massa. Nell'Expo svizzero dell'anno scorso le due concezioni erano rappresentate da altrettante architetture: la nuvola di Diller & Scofidio e il monolite di Jean Nouvel. Francamente devo dire che ero andato all'Expo spinto più dal battage pubblicitario che si era scatenato intorno alla nuvola che per vedere Nouvel. E dalle fotografie apparse nelle riviste, questa architettura fatta di vapore, fragile e aerea e particolarmente fotogenica, mi aveva affascinato non poco. Cosi' come da lungo tempo mi affascinano tutte le opere del duo newyorkese, che credo siano tra i progettisti più intelligenti, raffinati, attenti e ironici che oggi calchino la scena internazionale. La delusione, però, è stata notevole. Entrato nella nuvola, mi è sembrato di trovarmi in mezzo al vapore. E che fossi in mezzo al vapore me lo ricordavano le fastidiosissime goccioline che cadevano in continuazione sugli impermeabili messi a disposizione del pubblico dall'organizzazione. Se dovessi riassumere con una battuta, che ricorda certe previsioni del tempo che negli anni settanta si sentivano alla televisione di Stato, direi: nebbia in Val Padana. Il monolite di Nouvel, un cubo di ferro arrugginito, gettato in mezzo al lago, si presentava con ben altra forza. Sarà stata la giornata di luce, il magnifico rapporto tra l'acqua del lago e questo corpo immobile e squadrato, ma ho avuto la sensazione che il vero protagonista del dialogo a distanza con la nuvola che si trovava sull'altra sponda era proprio il monolite. Quel sensore estremamente attento e rabdomantico di Nouvel aveva, come sempre, capito la cosa giusta. Come la aveva capito negli anni ottanta quando, ancora in pieno clima Post Modern, propose le pareti intelligenti dell'istituto del Mondo Arabo o quando alcuni anni fa si è inventato prima un albergo ecologicamente Hard Tech e poi un altro giocato sulle immagini. La proposta è anche questa volta convincente: penso anch'io che per un po' di tempo l'immaginario tecnologico si affievolirà, avremo un bisogno fisico di concretezza, di tattilità. E, quindi, di peso, massa e volume piuttosto che dei loro opposti. Se osserviamo lo sforzo che l'architettura del digitale ha fatto negli ultimi anni vediamo che è stato focalizzato a concepire le cose come informazione lasciando un residuo minimo all'informe, all'inorganico. Prendete per esempio le architetture dei Nox, di Asymptote o di Lynn. Si indirizzano verso una sorta di mondo cyberplatonico fatto di pura intelligenza, di relazionalità assoluta. E' il linguaggio che in esse domina, tanto da sussumere al suo interno ogni materiale, ogni forma, anche la più complessa. Sono architetture che stanano l'inorganico per farlo diventare organico, il complesso e l'inconcepibile per trasformalo in misurabile e concepibile, le geometrie non euclidee per renderle visibili e controllabili. Nouvel capovolge il cannocchiale. Invece che togliere materia all'informe, crea materia togliendola alla forma. Invece che insistere sull'anima e sull'intelligenza del corpo a spese della corporeità, mette in luce il residuo, dicendoci che non è più un residuo. E' il peso, è la gravità, è la sordità della materia a costituire problema. Il tema non è nuovo. E nasconde anche dei pericoli tombali e sepolcrali: il residuo che sfugge all'intelligenza è la morte, come ha messo in evidenza Mario Perniola nei suoi ultimi saggi. Però, basta guardare al mondo della ricerca artistica per accorgerci che da diversi decenni l'arte sta seguendo, anche con eccellenti risultati, questo percorso, contrapponendo agli eccessi della tecnologizzazione la sordità della materia, la sua ricchezza, la sua intraducibilità in codice binario. Certo numerosi architetti reazionari da anni denunciano i pericoli della digitalizzazione dell'architettura. Ma, nel monolite di Nouvel mi sembra che, pur facendo la tara a tutto lo snobismo modaiolo dell'architetto francese, si intraveda una direzione di ricerca che non c'è nelle farneticazioni reazionarie dei nostalgici, tutti presi a rimpiangere il passato tettonico della disciplina. Una direzione, questa volta innovativa, che, se vogliamo osservare con attenzione il recente panorama architettonico, sono in molti che cominciano a percorrere. Penso per esempio alle recenti opere di Herzog e de Meuron, molto meno superficiali delle precedenti, e anche agli ultimi lavori della Hadid ,di altri esponenti dello Star System e soprattutto di numerosi giovani. Insomma qualcosa si muove e nuove direzioni di ricerca emergono. Per fortuna, visti i pericoli di stasi creativa e di ritorno all'ordine che sembravano profilarsi al'orizzonte.   apparso su Ventre