Autore: Luigi Prestinenza Puglisi
pubblicato il 10 Settembre 2007
nella categoria Opere
è da alcuni anni che Italo Rota sta operando con crescente successo a Palermo, la affascinante, assolata e pigra città capitale della Sicilia. Il lavoro che lo ha fatto conoscere è-stata la sistemazione- del Parco del Foro Italico, una grande superficie a verde, in zona centrale che affaccia direttamente sul mare. Ad essere apprezzato è stato soprattutto l'aver insolitamente adoperato oggetti-giocattolo che fanno riferimento più alla scultura- che al design o all'architettura. Si tratta di birilli colorati che separano il parco dalla strada che lo delimita; di portali- in legno alternati da variopinti totem, alcuni dei quali culminanti con teste che riprendono quelle dei tradizionali vasi siciliani; di letti per prendere il sole rivestiti con maioliche e le cui forme ricordano vagamente, se non fosse per il loro cromatismo,- quelle dei sepolcri funebri e, in particolare, dell'ancora amatissimo imperatore Federico di Svevia, seppellito nella Cattedrale. A colpire l'immaginazione del pubblico palermitano deve essere stato lo spirito barocco, insieme colto- e popolare, di questi oggetti.- I quali sono presto diventati una attrazione per i bambini locali e, a riprova della loro accettazione, non sono stati ancora oggetto di atti vandalici, nonostante una certa loro delicatezza. Cosa abbastanza insolita negli spazi pubblici meridionali e, in particolare, in quelli di- una città come Palermo in cui una cultura raffinata - che le deriva dall'essere stata una delle capitali del Regno delle Due Sicilie e la sede dell'aristocrazia dell'isola - convive con preoccupanti forme di degrado sociale e urbano. La seconda opera di Rota a Palermo è stata l'allestimento per la mostra sulle Città portuali che si è svolta nella città siciliana in concomitanza con la Biennale di Venezia dello scorso anno. Si è trattato di un'altra occasione in cui Rota ha mostrato le potenzialità del suo approccio oggettuale e post-barocco. Un approccio che mette insieme, in una riuscita macedonia, la lezione degli architetti-designer italiani degli anni settanta e- ottanta quali Mendini e Sottsass. Ma che anche attinge in maniera originale alla tradizione italiana del professionismo colto e non è estranea a tentazioni post-moderne. Italo Rota, nel corso della sua oramai lunga carriera è stato infatti a studio da Franco Albini e da Vittorio Gregotti e ha collaborato con la Gae Aulenti alla Gare d'Orsay a Parigi. Dopo il Comune e la Biennale, il terzo committente di Rota a Palermo, per l'opera che qui presentiamo, è l'Assemblea della Regione Siciliana. La Sicilia gode di uno statuto autonomo ed ha, rispetto a altre regioni italiane, una maggiore indipendenza legislativa e finanziaria che manifesta attraverso la realizzazione di iniziative culturali e di opere d'architettura di un certo prestigio. Nel caso specifico l'incarico consisteva nell'allestire la Biblioteca e l'archivio storico del Parlamento Siciliano nel complesso Monumentale di S. Elena e Costantino. Un progetto in due fasi, di cui oggi è stata completata la prima. Il problema che in questo intervento Rota ha risolto brillantemente è uno che da sempre angoscia gli architetti italiani: come intervenire in una preesistenza caratterizzata dal punto di vista architettonico e artistico senza rimanerne schiacciati e nello stesso tempo senza correre il rischio di deturpare permanentemente il luogo con segni contemporanei irreversibili. Segni che, oltretutto, sarebbero impediti dalle severissime soprintendenze che in Italia vigilano sui beni storici. La soluzione proposta da Rota è, nella sua semplicità, geniale. Consiste nel costruire lo spazio attraverso degli oggetti scultorei. Il luogo conseguentemente si trasforma in un giardino incantato dove nuovo e antico si incontrano e si scontrano mantenendo ciascuno una propria autonomia. E dove sorprendentemente convivono figure afferenti a generi figurativi diversi: curviformi e squadrate, multicolorate, opache e riflettenti. L'architettura - suggerisce Rota- deve liberarsi dalle proprie inibizioni moderniste e funzionaliste, perdere in efficientismo per puntare sul gioco, sui sensi, sulla fantasia. Vengono in mente le riflessioni del situazionista Constant ma anche degli artisti Dada e , se vogliamo andare più indietro nel tempo, i quadri di Hieronymus Bosh. In fondo lo stile di Rota non è inquadrabile solo con il termine post-barocco. Per lui occorrerebbe inventarne un altro: post-tutto. Un termine che spiegherebbe anche il perchè i siciliani, che in questo clima di post-tutto convivono da secoli, unendo capolavori e kitsch, passato e futuro, hanno deciso di adottarlo dandogli modo di attuare la propria silenziosa post-rivoluzione culturale.