Il libro su Rem Koolhaas usci' nel 1996. Era il numero 14 della Universale di Architettura curata da Bruno Zevi.
La serie segnava il rilancio del grande critico dopo il periodo di messa in ombra patito durante gli anni del post modernismo, quando era prevalsa la antagonista linea critica tafuriana. L'idea della collana era semplice: proporre libri che costassero poche migliaia di lire, poco più di una colazione al bar per due persone, distribuiti nelle edicole, con tirature prossime alle diecimila copie. La collana era composta da agili monografie, scritte da critici spesso giovani e comunque al di fuori del circuito accademico, che trattavano argomenti rilevanti per sbloccare la fase di stallo in cui si era assopito il dibattito architettonico.
Era divisa in sezioni, di cui la trainante era quella dei profili degli architetti: dedicati in gran parte a coloro che in quegli anni venivano impropriamente definiti decostruttivisti, sia perchè avevano partecipato alla mostra del 1988 al MoMA curata da Philip Johnson e Mark Wigley, sia perchè il loro approccio alla progettazione ne ricordava lo stile fatto di energia plastica, disarticolazione dell'impianto architettonico, gestualità e dinamismo.
La collana era iniziata con una monografia dell'allora astro nascente, Zaha Hadid. Erano seguiti numeri su Peter Eisenman, Frank O. Gehry e su protagonisti del passato caduti nel dimenticatoio per le loro posizioni non conformiste, organiche o espressioniste. L'ipotesi critica di Bruno Zevi era spericolata, e proprio per questo motivo feconda: rifiutava di vedere quanto di decadente, postmodernista, estetizzante ci fosse nelle posizioni dei decostruttivisti per coglierne, invece, l'aspetto di modernità. La loro capacità di andare oltre le secche delle riflessioni sul linguaggio, che avevano zavorrato gli anni Ottanta, per puntare l'attenzione sulla ricerca spaziale, recuperando cosi' il lascito delle avanguardie degli anni Dieci e Venti e di quelle operanti negli anni Sessanta e Settanta, ipotizzando nuove poetiche dell'abitare attraverso geometrie complesse, recuperando anche materiali e procedimenti poveri e di grado zero.
Le punte aguzze dei decostruttivisti, insomma, erano per Zevi l'arma per sconfiggere i Portoghesi, i Gregotti, i Purini che, invece, predicavano il ritorno ai valori ed alla tradizione e, insieme, continuavano a coltivare il culto per Aldo Rossi e la Tendenza. Se non si afferra tale clima culturale è impossibile, a mio avviso, capire il taglio di questo volume dedicato a Koolhaas, cosi' come di altri della collana.
Affascinato dalla lettura zeviana, infatti, dell'olandese cercavo di mettere in luce dimensione innovativa, trascurando altre chiavi, egualmente possibili, che invece avrebbero evidenziato gli aspetti di continuità con un passato giudicavo negativamente. Da qui l'aver sottovalutato, per esempio, la sua componente snob e storicista formatasi alla scuola di Colin Rowe e di Oswald Mathias Ungers o la dimensione manierista sempre tesa a rimescolare le forme della tradizione, sia pure modernista.
D'altra parte, pensavo, di questa ne aveva parlato il libro di Jacques Lucan, edito da Electa, che era, prima del mio, l'unico testo sull'architetto allora disponibile in italiano, e quindi non c'era motivo di insistere. Anche perchè alla fine degli anni Novanta pareva che l'olandese stesse virando verso uno sperimentalismo decisamente più fresco e creativo: si pensi ai suoi grandi progetti presentati nel libro S,M,L,XL allora da poco uscito (1995).
La monografia, grazie alla scoperta che in quegli anni la cultura italiana faceva di Koolhaas, ebbe un incoraggiante successo e mi diede una certa notorietà, sia pure di luce riflessa. Era il mio primo libro di critica che seguiva ad alcuni articoli che pubblicavo per le riviste di architettura (prima mi ero occupato di argomenti squisitamente tecnici, e, devo dire, la decisione di occuparmi esclusivamente di critica venne a seguito di questo volume).
Nei seguenti venti anni ho avuto modo di tornare a più riprese su Koolhaas osservandone sia i suoi cambiamenti di linea poetica sia la sua diversa accoglienza da parte della critica. Riguardo ai suoi mutamenti di poetica ci vorrebbero almeno altri tre libri per affrontarli. Non c'è architetto che più felicemente abbia incarnato il detto di Walt Whitman: mi contraddico, ebbene si mi contraddico, sono vasto, contengo moltitudini. Dotato di straordinaria intelligenza e non meno straordinario cinismo, Koolhaas riesce a sostenere qualsiasi linea teorica per produrre però, per fortuna nostra, edifici sempre interessanti e intelligenti.
Toccherà ai futuri studiosi individuare uno o due bandoli per poter districare la complicata matassa della sua opera. Io, da parte mia, mi sono limitato a mettere in appendice alcuni miei scritti, editati dopo l'uscita del libro, che affrontano alcune questioni interessanti.
Due parole merita, infine, il successo che oggi ha Rem Koolhaas, insieme con la rivisitazione delle ricerche di Superstudio, presso le linee di ricerca più preoccupanti dell'architettura italiana: da Pier Vittorio Aureli alla nuova Tendenza. Il motivo è che probabilmente le inclinazioni reazionarie che nel libro su Koolhaas avevo cercato di trascurare non sono cosi' trascurabili come avrei voluto. E non tanto perchè siano prevalenti ma perchè sono conviventi.
Probabilmente dobbiamo cominciare a pensare che il merito principale dell'olandese è proprio la sua incorreggibile ambiguità. Non c'è nessun architetto quanto lui che riesca ad essere inafferrabile: e, come tutte le persone inafferrabili, molti credono di averlo in tasca, mentre lui sta già da un'altra parte a realizzare grattacieli insieme an-iconici e hyper- iconici, a dipingere d'oro la fondazione Prada e a disarticolare la Laurenziana di Michelangelo, pensando a come fare soldi a Singapore, in Africa e a Dubai.
Ringrazio Claudia Ferrini che ha curato con la consueta intelligenza, professionalità e creatività l'editing e la grafica di questo volume, come degli altri che sono usciti o usciranno tra breve. Senza di lei questo progetto di ripubblicare i miei scritti, rendendoli nuovamente accessibili, non avrebbe potuto aver luogo.